Trova la collezione intera Sean Suen, Autunno/Inverno 2021/2022, Parigi
La collezione Autunno/Inverno 2021/2022 alla Settimana della Moda Maschile di Parigi
La moda è “un viaggio tra le verità scomode del mondo”, scriveva Caroline Evans, professore di Storia e teoria della moda nel suo libro Fashion at the Edge: Spectacle, Modernity and Deathliness nel 2003. Questo è particolarmente vero nel momento in cui la moda, in quanto istituzione culturale e figlia dell’Arte, è capace di creare dialogo; di andare oltre il l’aspetto superficiale degli abiti per elevarsi ad un ideale, convertendosi così in un potente agente trasformatore, nel senso sociale, culturale ed economico del termine.
Offuscare i contorni di preconcetti e convinzioni consolidate nell’immaginario comune è un’idea con cui molti fashion designers di tutto il mondo si stanno confrontando, che cercano di esprimere attraverso le proprie sfilate, e questa edizione della Paris Men’s Fashion Week sembra ribadirlo ancora una volta. Che siano confini tra reale e irreale (TAAKK), tra maschile e femminile (JW Anderson, Botter, Lazoschmidl), o tra i codici stessi della moda, la contaminazione tra diversi concetti è la nuova prassi.
Che cos’è il normale oggi? Che cosa invece l’anomalo, l’anormale? Sean Suen mette in discussione gli stereotipi normativi che permeano il tessuto del mondo, cui noi tutti tendiamo ad aderire più o meno consapevolmente, forse per inerzia, o senso comune. Cosa succede invece quando la nostra autocoscienza apre un altro percorso davanti ai nostri piedi? Ci troviamo dapprima fuori posto, in una posizione insolita, atipica, che ci espone a giudizi e critiche, convertendoci in un bersaglio e in un esempio da evitare.
Nel video della collezione Autunno/Inverno 2021 del brand di stanza a Beijing, le sagome e le proporzioni della sartoria tradizionale simboleggiano lo stadio ultimo di omologazione e uniformità delle coscienze ed opinioni. Nel momento in cui la consapevolezza di sè entra in gioco, accade qualcosa di imprevedibile nella costruzione degli abiti: indossati sopra il completo sartoriale, gilet squadrati saltano subito all’occhio; capi in maglia sul punto di smagliarsi e disintegrarsi spuntano da sotto i rever dei cappotti perfettamente tagliati. I modelli-attori si isolano, allontanandosi dai rumori della città: sono gli angoli “deformi” dentro noi stessi, laddove emerge il potere di sfondare le catene di un’esistenza piatta, schiava delle regole.
La soluzione arriva nelle note finali: un messaggio potente, in tempi in cui la visuale si amplia e gli orizzonti si limitano, quando il razzismo sembra emergere con più vigore e le nazioni si impegnano ad innalzare muri piuttosto che ponti. “Invece di criticare e respingere senza alcun fondamento, è meglio smantellare gli stereotipi, distruggere le catene della normalità. Tradurre l’insolito in consueto. Tradurre l’anormale in unicità. Trattare le persone come individui più che come simboli. Divisi cadiamo, uniti ci rafforziamo”.
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