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Il design come reazione ai bisogni del tempo presente
Se ne iniziava già a parlare ai primi del Novecento, ed è stato il mantra di numerosi architetti, designers e stilisti per tutto il corso del secolo fino ad oggi: il minimalismo non è soltanto un’estetismo, un capriccio di stile, bensì a distanza di 100 anni continua a riproporsi ciclicamente come necessaria reazione all’eccesso, all’esagerazione, dimostrando la profonda consapevolezza e capacità di reazione del design alle differenti problematiche attuali di natura socio-economica.
Coniato dal grande architetto del Novecento Peter Behrens, il celeberrimo aforisma Less is more è stato adottato, poi, da designers del calibro di Mies Van der Rohe, riprendendo F. Menna per l’arte povera, e fatto proprio dalla moda funzionale di Courrèges, prima, e di Jil Sander, Calvin Klein, Donna Karan, Prada e molti altri, poi; il minimalismo si riferisce non solo all’aspetto esteriore di un edificio, di un abito o di un oggetto, ma alla sua stessa struttura intrinseca, alla sua progettazione che deve rispondere ad un preciso, determinato bisogno pratico. E’ la funzione stessa qui, a determinarne la forma, e non viceversa.
La Milano Fashion Week (22-28 settembre) ha visto predominare, in particolar modo, una ricerca del raggiungimento della perfezione sartoriale; un ritorno al basic, ovvero una moda contraddistinta da blazer dal taglio classico, da tailleur pantalone, gonne affusolate e maglioni a collo alto; dall’utilizzo di colori neutri o se vivaci, in blocchi monocromatici, dalla scomparsa della decorazione superflua, la predilezione per la permanenza dell'”essenziale” e del “necessario”, contro il proliferare di virtuosismi esasperati ed effimeri.
Non è di certo la prima volta che il minimalismo si ripropone nel mondo della moda. Tendenze stilistiche minimaliste hanno caratterizzato delicati momenti storici: gli anni 60 con la moda spaziale, gli anni 90 con la purezza delle forme, ma anche -come argomenta BoF– la moda discreta dopo la crisi economica del 2008 capitanata da Phoebe Philo per Céline e la contro-tendenza no-logo di Bottega Veneta. Ma perché nella moda post-coronavirus, il minimalismo sembra essere di nuovo la soluzione non solo prevalente, ma anche la più vincente rispetto alle altre estetiche?
Si tratta, innanzitutto, di una reazione naturale, spontanea, al consumismo eccessivo e all’esplosione di eccentrismi che hanno gravato la moda degli ultimi anni; una soluzione che risponde non solo a necessità estetiche, ma soprattutto una risposta in chiave eco-sostenibile volta alla salvaguardia del pianeta e alla riduzione dei consumi. Tuttavia, è un cambiamento di rotta già avviato prima della pandemia, quando già si percepiva che quella bolla di eccentrismi e dello streetwear della seconda metà degli anni 2010, delle tigri ricamate e dell’opulenza del crossover massimalista, sarebbe stata portata inevitabilmente allo scoppio; scoppio che il Covid-19 ha solamente favorito e anticipato attraverso la rottura degli schemi abituali. E’ la moda che sta reagendo alle problematiche ambientali – di cui essa stessa è, purtroppo, responsabile in buona percentuale -, proponendo ora il buon senso e il buon gusto, che si esprime attraverso la scelta di materiali di derivazione responsabile, una semplicità sofisticata intesa come punto di arrivo, non come privazione; una moda in definitiva di qualità, e nell’estetica e nei materiali, che possa durare più a lungo e avere il minor impatto ambientale possibile.
E’ ciò che predilige Fendi per la Primavera/Estate 2021, giocando con impalpabili trasparenze e romantici ricami à jour e lavorazioni al tombolo, senza perdere in funzionalità e pulizia delle forme. Protagoniste per eccellenza sono le camicie, declinate in chemisier destrutturati, cardigan, delicati capispalla o soffici camicette lavorate a maglia in un’alternanza ottica di bianco e nero. Prevale la leggerezza: forme ampie, perfino genderless, che non vincolano il corpo, con un senso di rigore prettamente borghese; il tutto esprimendo un’idea di comodità e di lusso (come look da lockdown), enfatizzata dal gilet e dal completo trapuntati.
Volumi avvolgenti, essenziali e protettivi dominano anche la passerella di Prada. La Primavera/Estate 2021 è l’inizio di una sperimentazione, quella tra Miuccia Prada e Raf Simons al timone della casa, che gioca sulla riduzione come segno di longevità, una ripulita da inutili superficialismi. Se, a detta di molti, il caratteristico lusso sussurrato di Miuccia viene questa volta gonfiato nel logo potente (impronta di Raf, forse?), appuntato frontalmente su tutti i pezzi in dimensioni decisamente aumentate, il minimalismo strutturale di Prada rimane, tuttavia, mantenuto nella semplicità dell’uniforme – campo di ricerca esplorato da entrambi i designers.
Nell’intervista seguita alla sfilata digitale, Miuccia spiega il suo punto di vista riguardo all’uniforme, che deve essere uno strumento della vita reale, qualcosa in cui sentirsi bene, qualcosa di atemporale; qualcosa che permetta di esprimere se stessi nel miglior modo possibile, capace di far pensare, e non distrarre. L’uniforme è inevitabilmente anche uno strumento rivelatorio di idee provenienti da un subconscio collettivo: “Quanto più una moda è connessa alla realtà e alle persone reali, tanto più il ruolo dei designers è rilevante“, rivela Miuccia.
In questo senso, la moda di Prada si pone interamente al servizio dell’individuo e dei suoi bisogni. Quella di Prada, resta, in definitiva, una moda privata, mentale, in cui ci si può identificare; che rifiuta le convenzioni, i trend, le imposizioni, a favore di una propria libertà e autonomia.
Minimal è anche un rifugio mentale, che in Calcaterra si sviluppa attraverso la purezza dei volumi oversize, i toni neutri, genderless (e perfino age-less) declinati in forme avvolgenti, ampie, a volte maestose. E’ il vestito/abito che, in un ambiente esterno ostile, per così dire, diventa quasi uno spazio nuovo da abitare, non più da esibire, in cui trovare una propria dimensione, comfort e benessere. E’ l’interiorizzazione di cui parla Eleonora Fiorani in Abitare il corpo: la moda, riferendosi al “passaggio dall’estroflessione dell’io narcisistico degli anni Ottanta e del postmoderno all’introversione e all’intimità dagli anni Novanta in poi”. Così, la moda attuale rivive la stessa tendenza – data dal lockdown e dalle conseguenti paure, fragilità e rotture che hanno coinvolto la sfera sociale, politica ed economica – abbandonando il corpo pubblico, esibito, fatto di superfici, per riportare in auge il corpo dell’interiorità e del vissuto.
Simona Marziali vira verso una qualità senza tempo, senza escludere tuttavia la sperimentazione – nella maglieria soprattutto. Minimal, essenziale fino ai limiti della sobrietà, il suo è un design materico, ispirato all’arte povera di Alberto Burri, che si declina in filati lavorati a mano in sfumature black&white o neutre, e affiancata a pezzi sartoriali basici e al tempo stesso eleganti pensati per una donna in carriera: blazer abbinati a pantaloni ampi e comodi, camicie bon ton.
Natura e benessere sono anche le fonti di ispirazione di Brunello Cucinelli, “elevati a ideali quotidiani da una sensibilità diffusa e consapevole”. Questo si traduce in un minimalismo quasi neo-arcaico, volto a ritrovare l’armonia nella natura. La collezione Pure Spirit si declina in camicie, maglioni, capispalla in materiali nobili, naturali dall’effetto organico (come la raffia intrecciata per le camicie), accanto ai morbidi tagli sartoriali. Il tutto all’insegna del comfort e della delicatezza, come spiega una nota della maison: “un animo rilassato guida il piacere del ben vestire tra eleganza e contemporaneità, formalità e disinvoltura”.
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